Tassazione Crypto in Italia:
dal possibile 42% all'effettivo 12,5%?

Ha scatenato un certo scalpore la dichiarazione del Vice Ministro dell’Economia e delle Finanze italiano che, durante la presentazione della nuova manovra finanziaria per il 2025, avrebbe anticipato che il Governo avrebbe in mente di alzare l’aliquota sulle plusvalenze derivate dalle crypto valute dall’attuale 26% addirittura al 42%.

L’effettivo inserimento di tale proposta all’interno della finanziaria non è ancora certo, ma l’espressa dichiarazione di un diretto esponente del Governo lo rende quantomeno plausibile; così come non è certo che sia effettivamente fattibile, presentando tale proposta alcune criticità costituzionali, a partire dalla progressività dell’imposta per finire al principio di uguaglianza.

Il contesto legislativo e fiscale in Italia

Mentre molti detentori di cryptovalute italiani stanno già valutando una possibile relocation all’estero alla ricerca di Paesi maggiormente “Crypto Friendly” , la proposta ha scatenato lo scettiscismo delle start up, diversi operatori del settore si sono messi in moto per rianalizzare la disciplina fiscale italiana sulle cryptovalute, alla ricerca di soluzioni, critiche e possibili opzioni, ed è venuto fuori qualcosa di molto interessante.

Una burocrazia lenta e complessa

L’Italia è un Paese abituato ad una burocrazia lenta e complessa, così come a una legislazione, soprattutto in ambito tributario, estremamente farraginosa, complicata e ben poco organica; spesso il Legislatore italiano interviene sulle vecchie norme aggiungendone di nuove che vi si sovrappongono anziché sostituirle, modificando articoli vecchi con leggi separate, disciplinando la stessa materia in due o più leggi diverse. Questo non crea difficoltà solo ai cittadini o agli operatori del settore nel comprendere la materia, ma spesso agli stessi governi che, quando si ritrovano a dover modificare o razionalizzare una determinata disciplina, rischiano di “perdersi per strada” alcune norme e alcuni articoli, contribuendo ad aumentare l’incertezza del diritto se non addirittura a produrre risultati diversi da quelli voluti dal Legislatore stesso con la modifica posta in essere. E questo sembra proprio essere quello che è accaduto con la disciplina fiscale sulle crypto valute quando il Legislatore italiano ha scelto di alzare le aliquote, originariamente previste al 12,5%, prima al 20% e poi al 26%.

Uno sguardo alla normativa

Comprendere il risultato dell’analisi di alcuni giuristi sulla questione è complicato proprio perché le norme che nel tempo si sono sovrapposte tra loro sono molteplici; è però possibile spiegare la questione in maniera riassuntiva, al fine di comprendere quale sia la criticità che è stata sollevata in queste settimane.

L’art. 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997

Le plusvalenze da cryptovaluta rientrano nella disciplina italiana all’interno dei cosiddetti “redditi diversi” elencati dall’art. 67 del TUIR, il quale ne individuava 5 tipologie (indicate dalle lettere da c) a c) quinques). Le modalità con cui tali redditi sono tassati, però, sono indicati in una norma separata, ossia l’art. 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461. Tale articolo stabiliva originariamente l’aliquota delle imposte su tali plusvalenze al 12,5%. Cita, infatti, l’articolo in questione, che “I redditi di cui alle lettere da c) a c-quinquies) del comma 1 dell’articolo 81 (ora 67 NdA), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dall’articolo 3, comma 1, determinati secondo i criteri stabiliti dall’articolo 82 del predetto testo unico, sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con l’aliquota del 12,50 per cento”.

Tale aliquota è però stata aumentata progressivamente prima nel 2011, portandola al 20%, e infine nel 2014, portandola al 26%, per mezzo di due ulteriori leggi separate che quindi non hanno abrogato l’art. 5 della legge del 1997 ma si sono semplicemente aggiunte ad esso. In tal senso, a prevalere tra le due norme (quella del 1997 che stabiliva l’aliquota al 12,5% e quella del 2014 che la alzava al 26%) era semplicemente il principio temporale, in base al quale in caso di norme contrastanti, la norma più recente prevale su quella più risalente.

Oggi, dunque, la tassazione di queste plusvalenze è al 26%.

Cosa fare se si detengono Crypto in Italia:

Chi ha già eseguito il "cash out"

Può adire la commissione tributaria per chiedere il rimborso dell’eccedenza versata rispetto al 12,5% previsto dalla legge.

Chi eseguirà a breve il "cash out"

Potrebbe avere convenienza ad eseguirlo subito, versando l’imposta del 12,5%, ove possibile, prima che il Legislatore faccia entrare in vigore il nuovo aumento dell’aliquota.

Chi intende detenere le crypto

Può adoperarsi già da ora per individuare un possibile Paese crypto friendly, dove la tassazione è a zero o comunque inferiore al 12,5%.

L’errore del Legislatore e la tassazione crypto ferma al 12,5%

Tuttavia, durante l’avvicendamento di queste sovrapposizioni legislative e del progressivo aumento dell’aliquota, le plusvalenze da cryptovaluta non erano ancora disciplinate nell’ordinamento italiano; esse sono infatti state inserite solamente nel 2022, con una ulteriore modifica legislativa che è andata ad aggiungere un sesto comma all’art. 67 TUIR (l’odierno c-sexies) che introduce appunto, nell’elenco, anche “le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività”.

Modifica dell'art. 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997

Il problema è sorto nel momento in cui, per adeguare la disciplina fiscale di tale tipologia di plusvalenza a quelle già previste nell’ordinamento italiano, il Legislatore ha modificato l’art. 5 della legge del 1997, introducendo anche il comma c) sexies, ma non la successiva legge del 2014 che, per quelle plusvalenze, prevedeva l’aliquota del 26%.

Il risultato è che, da un lato, siamo di fronte a una legge posteriore che prevede l’aliquota del 26%, ma solo per le plusvalenze da c) a c) quinquies, e un’altra norma, più risalente, che cita le plusvalenze di cui al comma c) sexies ma nella quale è ancora oggi prevista l’aliquota originaria, ossia quella del 12,5%. E in tal caso non vale più il principio temporale, in quanto le due norme, con specifico riguardo alle cryptoattività, non sono in contrasto: solo quella più risalente, infatti, comprende il comma c) sexies, mentre quella più recente (con l’aliquota maggiorata) è limitata ai commi da c) a c) quinquies.

Di conseguenza, leggi alla mano, oggi la plusvalenza è tassata al 26% in tutti i casi di redditi diversi con la sola esclusione delle plusvalenze da cryptoattività, per le quali l’aliquota è ancora quella del 12,5%.

Certamente, si è trattato di una svista del Legislatore che ha dimenticato di andare a modificare tutte le leggi coinvolte, e che ha di fatto creato inconsapevolmente una duplice disciplina in base alla quale, oggi, la tassazione sulle criptovalute è del 12,5% e non del 26%.

Con ogni probabilità, oggi che la criticità è emersa, il Legislatore interverrà sicuramente per porre rimedio all’errore; si deve tuttavia ricordare che la legge tributaria in Italia non ha valore retroattivo, col risultato che chiunque abbia fatto “cash out” di crypto in passato e chiunque lo faccia prima dell’entrata in vigore della modifica correttiva, potrà usufruire della più bassa aliquota del 12,5%, chiedendo giudizialmente il rimborso della maggior imposta già versata.

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In conclusione

Alla luce della situazione esposta si presentano di fronte agli investitori italiani che detengono crypto attività diverse strade percorribili:

  • Chi ha già eseguito un “cash out”, versando la maggiore imposta del 26%, può adire la commissione tributaria per chiedere il rimborso dell’eccedenza versata rispetto al 12,5% previsto dalla legge;
  • Chi intende eseguire il cash out entro tempi brevi, potrebbe avere convenienza ad eseguirlo subito, versando l’imposta del 12,5%, ove possibile (oppure versandola al 26% chiedendo poi il rimborso all’Agenzia delle Entrate, anche attraverso un ricorso in Commissione tributaria), prima che il Legislatore italiano faccia entrare in vigore il nuovo aumento dell’aliquota;
  • Chi intende eseguire il cash out in tempi brevi o chi intende continuare a detenere le crypto in attesa di nuovi sviluppi futuri, può comunque adoperarsi già da ora per individuare un possibile Paese crypto friendly, dove la tassazione è a zero o comunque inferiore al 12,5%, e dove sia possibile ottenere la residenza in modo pratico, veloce ed economico, così da potersi preparare ad eseguire il futuro cash out in un luogo con una tassazione più favorevole.

Il nostro studio, che vanta decennale esperienza sia nell’ambito delle crypto attività, sia in quello della fiscalità internazionale, sia in quello della relocation finalizzata all’ottimizzazione fiscale, può aiutare rispetto a tutte e tre le ipotesi, garantendo una consulenza specifica per tutte le esigenze, per poi seguire passo per passo il cliente nella realizzazione della strategia prescelta.

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