L'esterovestizione societaria: un concetto chiave nella fiscalità internazionale
Nell’ambito della fiscalità internazionale uno dei concetti di cui si sente spesso parlare è quello della esterovestizione societaria; cerchiamo allora di capire meglio di che cosa si tratta in questo articolo.
Con il termine esterovestizione si fa riferimento a quando una società simula di essere residente all’estero, generalmente in Stati a più basso livello di tassazione (Paesi Black list o che non consentono lo scambio di informazioni), per non essere assoggettata al regime tributario nazionale.
Questa pratica, molto diffusa, ad oggi è sempre più attenzionata dalle normative nazionali che generalmente prevedono un meccanismo per cui in questi casi la società “estera” si considera invece a tutti gli effetti residente nel Paese d’origine, salvo che fornisca prova contraria.
In realtà in virtù del diritto di stabilimento, una società è libera di trasferire la propria attività in un altro Stato o in altri Stati, senza porre in essere alcun comportamento elusivo e abusivo.
Requisiti dell'esterovestizione
Perché si configuri l’ipotesi di esterovestizione societaria, occorre verificare se effettivamente il trasferimento è reale, per cui si deve accertare di fatto se l’operazione posta in essere sia artificiosa e preveda la costituzione di una forma giuridica che non corrisponde alla realtà economica.
I requisiti per cui si configura la fattispecie di esterovestizione sono la natura fittizia della localizzazione all’estero della società e il conseguente indebito risparmio d’imposta.
Per accertare la natura fittizia o reale del trasferimento all’estero della società si prendono in considerazione criteri come la sede sociale (legale ed amministrativa), l’oggetto dell’attività svolta, il luogo in cui sono prese le decisioni strategiche per la società o il luogo dove è prevalentemente svolta l’attività di impresa.
Al di là quindi della sede legale da un punto di vista formale, rileva quella che è la sede effettiva di una società, che ai sensi dell’articolo 4 del Modello OCSE, deve considerarsi: “il luogo in cui la società svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio dell’impresa. Cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il raggiungimento dei fini sociali”.
La fittizietà si riscontra quando, nella realtà, la società ha un radicamento con il territorio d’origine tale da farla considerare fiscalmente residente nello stesso a tutti gli effetti.
Per quanto riguarda invece gli enti interessati le normative variano da Paese a Paese ed hanno ad oggetto le società estere che controllano altri enti residenti e che siano a loro volta controllate, gestite o amministrate, direttamente o indirettamente, da soggetti residenti.
In questo modo, con l’applicazione della presunzione di residenza, il soggetto estero si considera a tutti gli effetti residente nel territorio dello Stato, a meno che non fornisca la prova contraria, atta a dimostrare la sua reale residenza all’estero e la presenza di fondate ragioni imprenditoriali e di insediamenti produttivi e/o commerciali all’estero.
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La stabile organizzazione
Parallelamente al concetto di esterovestizione è opportuno ora richiamare per completezza espositiva quello di stabile organizzazione, con il quale si intende una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita, in tutto o in parte, la sua attività sul territorio dello Stato o, al contrario, l’impresa residente esercita, in tutto o in parte, la sua attività sul territorio estero, così da rappresentare presupposto e collegamento per sottoporre a imposizione nel territorio di tale altro Stato i redditi ivi prodotti.
Ancora una volta è bene ribadire che ogni ordinamento giuridico codifica la permanent establishment in modo autonomo, anche se nella maggior parte dei casi la definizione data riprende quella definita dal modello Ocse (articolo 5 del modello di convenzione Ocse) secondo cui esistono due diverse tipologie di stabile organizzazione, ovvero la “stabile organizzazione materiale” e la “stabile organizzazione personale”.
Stabile organizzazione materiale
Si ha la stabile organizzazione materiale quando la sede fissa di affari è determinata da un complesso di strutture fisiche all’interno del territorio dello Stato estero finalizzate all’attività economica ed è controllata e nella disponibilità della casa madre; l’OCSE chiarisce inoltre che l’utilizzo di installazioni fisse per finalità preparatorie e/o ausiliarie, diverse da quelle che costituiscono parte essenziale e significativa dell’attività dell’impresa nel suo complesso rientrano nella cosiddetta “negative list” e non integrano pertanto la stabile organizzazione.
Importante in merito è la disciplina dell’Antifragmentation rule, ovvero la regola finalizzata ad evitare l’elusione dello status di stabile organizzazione mediante la frammentazione delle attività, escludendo così, a determinate condizioni, che le attività preparatorie e/o ausiliarie rientrino nella negative list.
Questa pratica infatti consiste sostanzialmente in un artificio per cui vengono suddivise le singole attività unitarie, in modo che ognuna di esse, isolatamente considerata, appare svolgere soltanto attività preparatorie o ausiliarie, così eludendo la disciplina della stabile organizzazione. Lo scopo è quello di evitare che un’impresa svolga, di fatto, attività economica in uno Stato, senza che detta attività possa essere formalmente identificata come una stabile organizzazione e, quindi, lasciando all’impresa la possibilità di trasferire profitti in un territorio a fiscalità più favorevole.
Stabile organizzazione personale
Si ha invece stabile organizzazione personale quando si ha un soggetto che abitualmente nel territorio dello Stato negozia, definisce e conclude contratti in nome dell’impresa. In questo modo la permanent establishment personale è fondata sul fatto che, a determinate condizioni, la casa madre possa svolgere la propria attività all’estero anche indirettamente, cioè tramite un rappresentante, anche se non costituisce una sede fissa di cui essa dispone direttamente.
La stabile organizzazione non è dunque un soggetto distinto rispetto alla casa madre, che è responsabile per le obbligazioni sociali contratte dalla stabile organizzazione.
Fondamentale ai fini della configurazione della stabile organizzazione personale è allora la distinzione operata dall’OCSE all’articolo 5 tra agente dipendente (paragrafo 5) e agente indipendente (paragrafo 6) rispetto all’impresa madre per cui opera.
L’agente è da considerarsi indipendente, con esclusione della stabile organizzazione personale, quando agisce in uno Stato contraente per conto di un’impresa di un altro Stato contraente, è dotato di indipendenza economico giuridica ed esercita un’attività nel primo Stato agendo per l’impresa nell’ordinario svolgimento di quest’attività senza essere sottoposto ad un suo significativo controllo e a sue specifiche istruzioni in relazione alle modalità di svolgimento della stessa.
Tuttavia, se una persona agisce esclusivamente o quasi esclusivamente per conto di un’impresa o più imprese alle quali è strettamente correlata, detta persona non può essere considerata come agente indipendente con riguardo ad ognuna di tali imprese.
La figura dell’agente sarà da considerarsi invece dipendente nell’ipotesi in cui detta persona operi per conto di un’impresa estera e nell’esercizio della propria attività stipuli abitualmente contratti in nome dell’impresa.
Trattamento fiscale
Da un punto di vista fiscale i redditi prodotti dalle stabili organizzazioni si imputano allora direttamente in capo alla casa madre e vengono soggetti a tassazione sia nello Stato della stabile organizzazione, sia in quello della casa madre (fermo restando il riconoscimento di un credito d’imposta pari alle imposte che la stabile organizzazione ha già pagato all’estero).
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