Nuova residenza fiscale delle persone fisiche in Italia: cambiamenti e criticità

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Il Governo italiano, con il decreto legislativo 209/2023, ha introdotto importanti cambiamenti per armonizzare le discipline europee sulla tassazione nei diversi Paesi. Tra le varie modifiche, una delle più significative riguarda i criteri per stabilire la residenza fiscale delle persone fisiche e giuridiche in Italia.

Le nuove norme presentano profili interessanti che modificano sensibilmente i precedenti orientamenti, evidenziando alcune criticità sul piano applicativo. In questo articolo, esploreremo le nuove disposizioni legislative, le loro implicazioni e le sfide che potrebbero sorgere nell’applicazione della normativa.

Gli aspetti più rilevanti del nuovo D.lgs. 209/2023

Presunzione di residenza

L'iscrizione anagrafica non implica più in automatico la residenza fiscale in Italia.

Prova contraria

I contribuenti possono dimostrare la residenza fiscale estera senza iscrizione all'AIRE.

Definizione di domicilio

Il domicilio è ora basato principalmente su relazioni familiari e personali.

Modifiche alla presunzione di residenza fiscale

Superamento della presunzione assoluta 

In primo luogo, una modifica di non poco momento è il superamento della presunzione assoluta derivata dall’iscrizione all’Anagrafe dei residenti.

Prima della riforma, infatti, l’iscrizione anagrafica dava luogo ad una presunzione assoluta di residenza fiscale in Italia, per cui non era ammessa la prova contraria da parte del contribuente volta a dimostrare l’effettiva residenza fiscale all’estero. Per i cittadini stranieri era necessaria pertanto la cancellazione dall’anagrafe, mentre per i cittadini italiani era richiesta l’ulteriore iscrizione all’AIRE.

Iscrizione all’AIRE e prova contraria

In passato, l’iscrizione all’AIRE sembrava dunque dover costituire una condizione da sola necessaria e sufficiente per dimostrare l’avvenuto trasferimento all’estero e quindi la recisione di ogni collegamento con l’Italia. In realtà, la giurisprudenza di legittimità aveva già più volte sottolineato che tale requisito non dovesse ritenersi bastevole di per sé a dimostrare il trasferimento all’estero, considerandolo un mero dato formale, comunque, superabile da un controllo sostanziale del caso concreto (in tal senso, Cass. Civ., n. 21694/2020, n. 21695/2020, n. 21696/2020, n. 11620/2021 e 8586/2022).

Seguendo tale orientamento ormai consolidato in giurisprudenza, il Legislatore si è così adeguato, stabilendo nel nuovo art. 2, comma 2, del TUIR che “salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente”.

Ciò implica che oggi è consentita al contribuente la possibilità di fornire la prova contraria dell’effettivo radicamento sul territorio estero (ad esempio in ipotesi di trasferimento all’estero e mancata iscrizione all’AIRE), così come non basta la mera iscrizione all’AIRE per escludere la residenza fiscale in Italia, gravando sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettivo radicamento su territorio estero.

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Novità dell'Articolo 2 del TUIR

Considerazioni delle frazioni di giorno

Oltre al punto precedente, la nuova formulazione dell’art. 2 del TUIR introduce novità e modifiche che alterano sensibilmente la precedente impostazione e crea alcune criticità di carattere operativo.

In primo luogo, l’articolo considera residenti nel territorio dello Stato “le persone che, per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti”.

La prima criticità della nuova formulazione emerge dall’inciso “considerando anche le frazioni di giorno”. Non si comprende, infatti, cosa tale locuzione debba concretamente intendere. Il Legislatore non ha specificato se le frazioni di giorno debbano “sommarsi” tra loro o se ogni frazione basti da sola a conteggiare un giorno aggiuntivo.

Per fare un esempio: poniamo un soggetto che vive in Spagna, lavora in Austria e due volte a settimana si trasferisce da un Paese all’altro in aereo, facendo scalo per 2 ore in Italia: le due ore di scalo costituiscono una “frazione di giorno”, ma ognuna di esse comporta l’aggiunta di un giorno di permanenza in Italia, o sono necessari 12 scali (quindi 24 ore effettive) per considerare un giorno aggiuntivo? La norma non lo specifica.

Nuova definizione di domicilio

La novità più importante, però, è sicuramente la nuova definizione di domicilio. La disciplina precedente richiamava infatti la definizione di domicilio data dal Codice Civile che, all’art. 43, comma 1, lo definiva come “il luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi”. Il che comportava che, per la concreta valutazione dell’effettivo domicilio di un soggetto, si dovesse avere un equilibrato riguardo agli interessi economici (“affari”) e personali (“interessi”); dunque, un concreto bilanciamento tra l’eventuale sede delle proprie attività di business e il domicilio della propria famiglia.

Del resto, sia l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione (tra le tante, Cass. Civ., n. 17882/2007, n. 6501/2015 e n. 15895/2022), sia la stessa giurisprudenza europea (tra le tante, CGUE, 11 luglio 2001) erano concordi nel ritenere che nessuno dei due criteri (quello familiare e quello economico) avesse una priorità sull’altro, ma che fosse necessario valutare un concreto contemperamento di entrambi.

Nonostante questo, il Legislatore è intervenuto con la modifica in commento per stravolgere la precedente impostazione e stabilire che “per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona”, eliminando de facto il criterio degli affari. Una scelta francamente poco comprensibile, anche considerato che la stessa ratio del decreto legislativo era quella di armonizzare la disciplina con quelle degli altri Stati europei e con quella dell’Unione Europea che, come anticipato, non prevede alcuna preminenza del criterio familiare su quello degli affari.

Una soluzione che, oltretutto, non aiuta affatto a risolvere possibili criticità di valutazione, ma anzi, se possibile, le accresce.

Criticità della nuova definizione

Può, infatti, risultare non poco complesso stabilire il reale luogo in cui si radicano gli interessi familiari: si prenda l’esempio, non così infrequente al giorno d’oggi, di un soggetto divorziato in Italia e poi risposato in Germania, padre di due figli maggiorenni che studiano entrambi in Gran Bretagna. Quale dei tre Stati è da considerarsi il luogo in cui si sviluppano in via principale le relazioni personali e familiari? Diventerebbe non solo difficile stabilirlo ma, in ipotesi anche fuorviante, poiché si potrebbe rischiare di individuare come domicilio un Paese nel quale, di fatto, il soggetto non svolge alcuna attività economica, solo perché ivi sono radicati importanti interessi familiari (nell’esempio, la Gran Bretagna, dove vivono i suoi unici figli).

Si tratta pertanto, a nostro avviso, di una riforma che non aiuta a risolvere le possibili criticità interpretative ed anzi ne crea di nuove, anche in considerazione di un orientamento che si manifesta in pieno contrasto con quello già consolidato in sede europea. Non resterà che attendere eventuali delucidazioni dell’Agenzia delle Entrate, per comprendere come intenderà interpretare la nuova disciplina.

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