Il sistema delle Black List in Europa: la Guida completa

In ambito fiscale, in particolare trattando gli argomenti di fiscalità internazionale, società offshore e paradisi fiscali, si parla spesso della famigerata “black list”, ossia la “lista nera”, dei Paesi che offrono agevolazioni fiscali e una forte riservatezza dei propri dati e che, in questo modo, potrebbero favorire l’evasione fiscale e la criminalità internazionale.

C’è in realtà una certa confusione sul tema nell’opinione pubblica non esperta del settore, motivo per cui abbiamo deciso di predisporre un breve articolo che possa delucidare al meglio sulla questione e spiegare più nel dettaglio come funzioni il sistema delle black list.

Premessa

La prima cosa da dire è che la black list non è una sola, ma ce ne sono diverse a seconda del tema considerato.

Come spesso ripetiamo, invece di criticare tanto i paradisi fiscali che spesso sono stati più efficientemente organizzati, si dovrebbe porre l’attenzione sugli ‘inferni fiscali’: Paesi con alta imposizione fiscale, corruzione, burocrazia, inefficienza, sprechi e altre caratteristiche non ottimali per investitori, imprenditori, capitali e famiglie.

La libertà di ogni Paese di decidere la proprie regole, senza l’ingerenza di Stati terzi, crea quella sana concorrenza che è alla base dell’evoluzione e che tutte le teorie convergono nel dire che porta benefici per tutti. Si insegna quanto sia importante la concorrenza nei mercati e nel mondo delle imprese, ma non si comprende come questa concorrenza sia qualcosa di negativo in ambito organizzativo degli Stati.

Nel mondo ci sono quasi 200 Paesi: ci sono alcuni Paesi che sono pronti ad accoglierti a braccai aperte e altri no.
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Le Black List in generale

Il sistema delle Black List è nato in sede OCSE al fine di contrastare l’evasione fiscale internazionale e limitare l’attrattività dei c.d. “paradisi fiscali” che, grazie alla loro tassazione bassa o nulla o la tutela garantita dal mancato scambio di informazioni con l’estero, mirano ad attirare capitali e investimenti esteri.

Il sistema delle black list si è evoluto molto nel tempo, cambiando progressivamente parametri e criteri e viene aggiornato periodicamente in base a come mutano gli ordinamenti interni dei vari Paesi. Soprattutto con l’avvio di accordi specifici tra gli Stati, come le convenzioni sulle doppie imposizioni (DTA) o gli accordi sullo scambio di informazioni fiscali (TIEA), i suddetti elenchi hanno iniziato progressivamente a ridurre il numero di Paesi elencati.

In ogni caso, ad oggi le black list esistono ancora e vengono aggiornate ogni anno.

Cerchiamo però di affrontare il tema più nel dettaglio e comprendere come queste liste funzionino concretamente. In realtà, come detto, la black list non è una sola, ma ve ne sono almeno tre in base al tipo di criterio adottato per stilarne l’elenco.

Principali criteri delle Black List

Black List per la residenza

Basata sulla presunzione di residenza fiscale in determinati Paesi con condizioni fiscali privilegiate.

Black List per le imprese

Determinata dal livello nominale di tassazione inferiore al 50% rispetto allo Stato di origine della società controllata o partecipata.

UE - Paesi non collaborativi

Identifica gli Stati che non scambiano informazioni fiscali e mancano di convenzioni sulle doppie imposizioni.

Black List per la residenza

Il primo tipo di black list è quello relativo alla “presunzione di residenza”, finalizzato a stilare un elenco di Paesi le cui condizioni fiscali privilegiate portano i vari governi europei a presumere che i soggetti che dichiarano di aver ivi trasferito la loro residenza fiscale stiano in realtà solo cercando di eludere l’imposizione fiscale del loro Paese di origine.

Per esempio, per quanto riguarda l’Italia, tale elenco è contenuto nel D.M. n. 4 del 1999. Il suddetto elenco è volto a statuire una presunzione legale in favore dell’Agenzia Entrate italiana nel caso di soggetto italiano che si trasferisca – o sostenga di essersi trasferito – presso un “paradiso fiscale”.

In particolare, l’articolo 2, comma 2, afferma che, nel caso in cui un soggetto si trasferisca stabilmente in uno di questi Stati, è a suo carico la prova che contrasti la presunzione relativa di fittizia residenza estera. Infatti, per la nostra normativa tributaria, chi emigra in un Paese Black List è chiamato a provare che il suo trasferimento di residenza sia effettivo e non legato a meccanismi di evasione fiscale.

In sostanza, se un soggetto italiano trasferisce la sua residenza in un Paese black list, per l’Agenzia Entrate egli continua a risiedere in Italia, salvo che non sia lui a fornire prova contraria. Questo tipo di presunzione legale deriva dal fatto che, per la Tax Authority, chi dichiara di essersi trasferito in un Paese a fiscalità privilegiata lo faccia solo per ottenere un risparmio fiscale e non per altre ragioni (come possiamo confermare molto spesso avviene!) e di conseguenza sia probabile che tale emigrazione sia in realtà solo fittizia.

Spetta, dunque, al contribuente dimostrare di essersi effettivamente trasferito in quel Paese producendo prove convincenti (contratti di affitto, iscrizione all’AIRE, contratti di lavoro, utenze, prove di connessioni con il nuovo Paese e mancanza di relazioni con il precedente Paese). In assenza di prova, l’Agenzia delle Entrate tratterà il contribuente come se fosse residente in Italia.

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Black List per le imprese

Una seconda Black List è, invece, quella relativa alle imprese ed è stabilita a livello europeo.

In tal caso, però, oggi non si tratta più di un vero e proprio elenco, come avveniva in passato, ma di un criterio oggettivo per individuare un Paese soggetto a tale lista.

Infatti, è stato abbandonato il sistema di elencazione tassativa degli Stati o territori a fiscalità privilegiata, redatto di anno in anno, per approdare a un criterio di individuazione dei medesimi univoco e stabilito ex lege.

Criterio che consiste nella presenza nello Stato di residenza o di localizzazione della società controllata o partecipata di un livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile nello Stato di origine.

Pertanto, al fine di stabilire se un determinato Stato rientri nella black list in questione o meno è necessario svolgere un calcolo sul livello di tassazione (calcolo preciso e basato sulla tassazione di fatto, in concreto) di quello Stato e confrontarlo con la tassazione del Paese di origine per verificare se rientra nei requisiti, secondo il sistema ETR.

Si tratta perciò di una lista “mobile”, che può variare in base a come cambiano nel tempo le normative fiscali e che, come tale, non è posta “a priori” attraverso uno specifico elenco di Paesi ma viene costruita analizzando caso per caso il rapporto tra le due tassazioni.

Lista UE dei Paesi non collaborativi

L’ultima Black List in vigore è infine quella stabilita in sede UE per individuare i Paesi “non collaborativi”, ossia quei Paesi che non garantiscono lo scambio di informazioni e presso i quali non esistono convenzioni specifiche sulle doppie imposizioni o sullo scambio di dati.

Anche questa lista non ha valore statico e tassativo ma viene formulata sulla base di alcuni criteri, stabiliti in sede di Commissione Europea, tra cui:

  • Trasparenza fiscale;
  • Buona governance;
  • Attività economica reale;
  • Esistenza di una tassazione societaria ridotta a zero.

La Black List europea si è rivelata anche piuttosto efficiente in quanto molti dei Paesi in precedenza inseriti in tale lista hanno modificato parte della loro legislazione pur di poterne uscire, dato che la presenza in tale Black List non ha un mero valore “informativo” ma comporta una serie di penalizzazioni per lo Stato che vi viene inserito (a esempio, essere nella lista significa non poter ricevere aiuti economici allo sviluppo da parte dell’UE).

A marzo 2024, la Black List UE comprende i seguenti Paesi:

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Conseguenze della Black List

Alcuni Paesi tra cui l’Italia, prevedono diverse conseguenze nell’intrattenere rapporti con detti Paesi.

Per esempio, l’art. 22 della legge di Bilancio 2023 prevede una reintroduzione della disciplina sulla deducibilità limitata dei costi black list.

In particolare, la disposizione in commento prevede una modifica all’art. 110 del TUIR in relazione alla deducibilità degli oneri sostenuti per operazioni intercorse con imprese o professionisti residenti o localizzati in Stati considerati “non cooperativi” ai fini fiscali.

Secondo le nuove disposizioni, è ammessa la rilevanza fiscale delle spese black list, secondo le regole ordinarie di determinazione del reddito di impresa, nei limiti del corrispondente valore normale dei beni o dei servizi acquistati, determinato ai sensi dell’articolo 9 del TUIR.

Ne consegue che, qualora il costo risulti inferiore o uguale al valore normale del bene o servizio, lo stesso sarà deducibile per l’intero valore. Viceversa, se il costo in questione risultasse superiore, lo stesso sarà comunque ammesso in deduzione fino a concorrenza di quel valore normale. L’eventuale eccedenza potrà invece essere dedotta dal reddito d’impresa del soggetto residente solo qualora sia dimostrato che le operazioni poste in essere rispondono a un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione.

L’aspetto rilevante ai fini di questo articolo è che per individuare i Paesi non collaborativi ai fini fiscali si debba fare riferimento alla c.d. “Black List UE”. In altre parole, la lista dei Paesi non collaborativi UE sarà la base per individuare le fatture ricevute, che dovranno rispettare i requisiti di deducibilità e dovranno trovare separata indicazione in dichiarazione dei redditi.

In uno scenario estremamente dinamico e complesso possiamo essere il tuo supporto per delle scelte consapevoli e ragionate.

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